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Difendiamo la giovinezza dal logorìo della politica prematura

La politica oggi non educa, ma consuma. Ai giovani va restituita la libertà di sbagliare, crescere, formarsi senza strumentalizzazioni.

La giovinezza non è una pedina della politica

Lasciamo che i nostri figli vivano la loro giovinezza lontano dalla macchina della politica. Un ragazzo ha il diritto di vivere la spensieratezza, le esperienze, le prime scelte e persino i propri errori senza dover indossare abiti che non gli appartengono. Fare acquisti online, aperitivi, andar per discoteche, viaggi, studio, alimentare passioni: questa è la materia viva del loro presente, non i comunicati stampa o gli ordini del giorno. Non possiamo permetterci di trattare la giovinezza come un campo di battaglia ideologico o come una palestra per le ambizioni degli adulti.

Oggi, la politica non è più il laboratorio educativo che è stato fino a qualche decennio fa. È diventata una macchina che chiede fedeltà cieca, punisce il dissenso, premia l’urlo e brucia l’errore. In questo contesto, i giovani vengono spesso privati di ciò che li rende davvero tali: il tempo per crescere. Un tempo che, una volta sottratto, non si restituisce più. Non si può pensare di trattarli come adulti già pronti, esponendoli a dinamiche ciniche, spesso aggressive, dove il valore dell’esperienza viene annullato. Privarli di questo processo naturale è un atto di violenza culturale, un reato eticamente inaccettabile.

Senza formazione e militanza non c’è politica, solo caos

Serve una politica che torni a essere formativa. Un tempo esistevano le scuole di partito, le federazioni giovanili, le sezioni dove si discuteva, si studiava, si sbagliava. Fino agli anni Ottanta e Novanta, chi voleva impegnarsi in politica sapeva che doveva affrontare un percorso fatto di studio, confronto e militanza. C’erano chiavi ideologiche forti, identità solide, riferimenti etici condivisi. Si imparava facendo: osservando, ascoltando, scrivendo, argomentando. Era un’esperienza empìrica, ma anche profondamente pedagogica.

Oggi, al contrario, la politica ha perso queste fondamenta. Chiunque può improvvisarsi leader, senza un’educazione e una militanza di base. E così accade che giovani promettenti, con brillanti carriere universitarie davanti, vengano spinti ad abbandonare i propri sogni per “fare politica”, senza sapere realmente cosa significhi. Non ci sono più bussole. Non ci sono più maestri. È il trionfo del pressapochismo, della comunicazione aggressiva, del consenso facile. Va ricordato il pensiero di Pietro Ingrao che diceva, «Abbiamo il dovere di offrire ai giovani strumenti per leggere il mondo, non solo per starci dentro». Se vogliamo formare una nuova classe dirigente, dobbiamo ricostruire le fondamenta: esperienza, ideali, identità e tempo sono il cemento. Altrimenti continueremo a gettare nel tritacarne della politica giovani vite, trasformando sogni in disillusioni e talenti in rassegnazione.

Campania. Corruzione e clientelismo: declino di una classe politica

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Luciano Verdoliva
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