La natura: un processo vivo e dinamico
La suggestiva e terrificante immagine scattata dalla collega Susy Pepe racconta più di un semplice incendio: è una testimonianza visiva di come la natura, una volta considerata entità immutabile e perfetta, oggi venga stravolta dall’azione incosciente dell’uomo. L’incendio del deposito di indumenti usati a Pompei che arde da giorni di sovrappone a quello più drammatico sui fianchi del Vesuvio.
Se ci affidiamo alle profonde riflessioni del filosofo latino Lucrezio, possiamo cogliere un’intuizione che ancora oggi risuona attualmente potente: la natura non è un monumento fisso e inalterabile, bensì un processo dinamico di creazione, distruzione, nascita e morte. Tutto nel cosmo, dagli esseri viventi agli elementi più semplici, è soggetto a trasformazioni e mutamenti continui anche a costo di tributi in termini di vite.
Questa concezione antica riconosceva nel ciclo della vita e della morte un equilibrio essenziale, una danza perpetua in cui nulla si perdeva, ma tutto mutava in nuove forme e sostanze. Non esisteva una distruzione definitiva, quanto piuttosto una trasformazione inevitabile e necessaria, naturale e armoniosa.
L’accelerazione devastante della mano dell’uomo
Oggi, però, quella stessa dinamica naturale è stata travisata, accelerata e violentata dalla mano dell’uomo moderno. Non più parte di un ciclo equilibrato, la distruzione si è fatta evento traumatico e irreversibile, frutto di scelte irresponsabili e di un’avidità che non conosce limiti. Quello che stiamo vedendo nel Parco Nazionale del Vesuvio tra Terzigno e Ottaviano è la crudele testimonianza di questo cortocircuito tra natura e civiltà.
In pochi giorni, infatti, si è passati da un incendio a un deposito di indumenti usati – evento già grave, perché fonte di emissioni tossiche nell’aria – a un incendio ben più ampio e devastante che ha colpito una delle più preziose macchie mediterranee dell’agro nocerino vesuviano. Un’area di enorme valore naturalistico, testimone di biodiversità, di storia e di cultura, ridotta oggi a un paesaggio spettrale, bruciato e annerito.
Conseguenze a breve e lungo termine
Le conseguenze di questa tragedia non sono solo estetiche o simboliche. La natura può in qualche modo rigenerarsi, ma l’uomo, con la sua incoscienza, ha inserito, in questo ciclo, un elemento di distruzione profonda e prolungata. Le sostanze sprigionate dai fumi e dalle polveri non sono ancora note nella loro interezza, ma si sa già che rappresentano un grave pericolo per la salute di chi vive in questi territori ormai fusi in un unica e grande metropoli, dove l’urbanizzazione selvaggia e la mancanza di regole hanno cancellato ogni presidio di sicurezza ambientale.
La mancanza di un sistema urbanistico territoriale efficace, l’abbandono delle oasi naturali, l’inquinamento diffuso con la formazione di discariche abusive e strade diventate veicoli di diossine e veleni rendono questa ferita ambientale non solo un problema locale, ma una minaccia diretta per la vita delle persone.
Il “Vesuvio” della contemporaneità: la nostra Cartagine che brucia
Nel suo celebre “Zibaldone”, Giacomo Leopardi definiva il Vesuvio come “sterminatore”, simbolo di una natura capace di annientare con la sua furia ciò che la circonda. Oggi, purtroppo, quella furia non è soltanto naturale, ma anche frutto dell’uomo, di una mano che sembra voler cancellare un mondo naturale che va oltre la semplice ciclicità del creato.
Qui, infatti, non siamo di fronte al ciclo di crescita e decadenza descritto da Lucrezio, ma a una vera e propria distruzione, un incendio che non rigenera, che non trasforma ma annienta. Crateri neri, odore acre di bruciato e paesaggi spettrali sono ciò che resta di un ecosistema compromesso, un’odissea contemporanea che ricorda una moderna Hiroshima ambientale, un inferno che non si placa.
Chi sopravviverà a questa devastazione dovrà fare i conti con malattie, sofferenze e un lento declino, quasi un “camera gas” naturale che uccide a poco a poco, invisibilmente.
La lezione di Lucrezio e l’urgenza di un cambiamento
Riprendendo il pensiero di Lucrezio, non si può minimamente accettare che l’uomo acceleri un processo che doveva essere naturale e armonico, trasformandolo in un innesco di distruzione senza logica né scopo. La natura, pur nei suoi complessi mutamenti, ha sempre saputo rigenerarsi, ma l’uomo moderno sembra voler sfidare ogni legge, precludendo scelleratamente il futuro a sé stesso e alle prossime generazioni.
In queste lingue di fuoco violente e paurose che divorano il manto verde del dormiente Vesuvio, riecheggiano le immagini dantesche dell’ottava bolgia dell’Inferno di Dante, di quei dannati destinati a un eterno dolore. E quei dannati sono inconsapevolmente quelli che vivono nel sottobosco. Un’immagine potente e inquietante, che ci richiama a una riflessione profonda: se continueremo a distruggere senza coscienza, se non saremo capaci di rispettare e proteggere l’ambiente, il nostro destino sarà quello di vivere in un mondo segnato dalla sofferenza, dal dolore e dalla morte.
Il Vesuvio oggi non è soltanto un vulcano, ma il simbolo di una sfida epocale. È l’appello di una natura ferita che ci chiede di tornare a essere custodi consapevoli, sentinelle di una natura in affanno, ma non distruttori incoscienti. Se vogliamo evitare di sprofondare in un inferno irreversibile, è necessario che quella mano dell’uomo diventi finalmente quella di un guardiano attento e rispettoso, capace di trasformare la distruzione in rinascita.
Sant’Egidio: Via della Rinascita, solo parole da “Manny” La Mura