La retorica che travolge la città
Ad Angri, ma non solo, l’appuntamento elettorale amministrativo somiglia sempre più a uno spettacolo teatrale. Non conta la sostanza: vince chi sa tessere alleanze, mettere insieme gente ma anche frasi suggestive, chi padroneggia slogan ripetibili e “idee” che in realtà sono solo caduche aspettative. I cittadini applaudono le parole, mentre i problemi concreti restano stipati nell’ombra. Il vero programma resta invisibile: esiste solo nella forma di un “non programma” elegante, venduto come novità ma privo di contenuti reali, prevale la retorica che travolge la città.
Cliché, stereotipi e il culto della banalità
Durante la campagna elettorale tutto si riduce a riciclare cliché e stereotipi: chi ha amministrato pare più interessato a far sorridere e rassicurare che a cambiare qualcosa. Gli stessi luoghi comuni vengono passati di mano in mano come fossero reliquie politiche. E il pubblico li applaude, scegliendo candidati che non disturbano la loro idea rassicurante della politica, candidati banali ma “facili da capire” istagrammabili, tiktoccabili e fesibuccabili.
Delusione lampo
Il risultato è prevedibile: pochi giorni dopo l’elezione, la stessa gente che ha votato per la banalità inizia a lamentarsi. Le promesse svaniscono, il parolismo regna e la città resta intrappolata in un loop di frasi vuote e attese tradite. Angri poi diventa, quella dell’ultimo decennio. Un teatro perfetto della politica usa e getta: entusiasmo iniziale, delusione immediata, e poi tutto ricomincia nel solco di polemiche e rimugini.
Il rischio del consenso anestetizzato
Finché la politica sarà giudicata solo dalla capacità di parlare, di fare comodo, al “piacerismo” e non dalla capacità di agire, Angri, ma come altrove, continuerà a eleggere comparse invece di leader. La città rimarrà prigioniera di slogan, frasi fatte e “programmi” che spariscono come neve al sole. Il cambiamento reale sarà impossibile finché il parolismo continuerà a sedurre più della competenza.
Forse Angri merita di più delle parole vuote: meriterebbe cittadini capaci di leggere tra le righe e politici disposti a misurarsi con la realtà, non solo con la loro abilità di recitare ma anche addentrasi nei vasi comunicanti di un “paese che non c’è”.













