Meloni annuncia un piano, Von der Leyen lancia l’allarme
Sintesi (21 parole): La crisi abitativa in Italia ed Europa diventa emergenza sociale. Governo e Unione Europea discutono nuove strategie per affrontare carenze e disuguaglianze.
Riassunto (20 parole): Crescono i costi delle abitazioni e gli affitti insostenibili. Meloni e Von der Leyen rilanciano la necessità di politiche concrete.
Parole chiave: casa, crisi abitativa, Meloni, Von der Leyen, edilizia sociale, mercato immobiliare, INA-Casa
La sempre maggiore difficoltà, se non impossibilità, di trovare casa a costi accessibili per una vasta fascia di popolazione, sta diventando una vera e propria emergenza. In Italia il premier Giorgia Meloni ha annunciato un piano per dare risposte a questa necessità. Vedremo cosa riuscirà a mettere in atto il governo. E’ tuttavia emblematico che la crisi abitativa sia stata evidenziata anche dalla Presidente Von der Leyen nel recente discorso sullo stato dell’Unione.
I dati europei e le conseguenze sociali
«Per troppi europei – ha riconosciuto Von der Leyen – oggi la casa è fonte di preoccupazione: può essere sinonimo di debiti o incertezza. Le cifre raccontano una realtà difficile: i prezzi delle case sono saliti mediamente di oltre il 20% dal 2015, mentre le licenze edilizie hanno registrato una flessione del 20% in cinque anni. Non è una semplice crisi degli alloggi, è una crisi sociale.”
Gli effetti in Italia e le risposte mancate
Si verifica da tempo l’espulsione dai quartieri più centrali e dalle città in genere di persone che non riescono a permettersi un alloggio in affitto o una casa di proprietà per l’incremento dei costi di acquisto e gestione. Gli universitari abbandonano gli studi perché non riescono a pagare l’affitto. I giovani rimandano i progetti di mettere su famiglia. Molti lavoratori pur avendo uno stipendio non possono vivere nella città dove lavorano e sono costretti a lunghi spostamenti.
L’edilizia sociale come unica via
In Italia abbiamo avuto la famosa legge definita “Piano casa” voluta dal governo Berlusconi, un piano che in realtà consentiva di incrementare la superficie delle abitazioni esistenti, quindi di ingrandire la casa a chi già la possedesse.Occorre, invece, costruire nuovi alloggi da gestire in maniera socialmente utile per i fabbisogni delle fasce di popolazione meno abbienti. La risposta non può venire dal mercato o dagli operatori immobiliari privati. Abbiamo l’esempio di Milano. Si giustificava l’edificazione crescente con la necessità di mettere più alloggi sul mercato. E’ evidente che il privato che investe lo fa, legittimamente, dove ritiene di poter massimizzare il suo utile e quindi in quartieri per lo più di un certo pregio, con il risultato che le nuove abitazioni realizzate a Milano sono andate a soddisfare la domanda, comunque, dei ceti con disponibilità economiche medio – alte. Lo stesso accade anche in altri luoghi per gli interventi cosiddetti di “rigenerazione urbana” di immobili dismessi. Non danno risposte a chi cerca un alloggio ma non ha abbondanti disponibilità economiche. A quanto sin qui evidenziato va aggiunta un ulteriore osservazione, l’esplosione dei bed and breakfast che sottraggono abitazioni, senza alcuna pianificazione urbanistica, ai vani abitabili, sia nelle città turistiche che in quelle vicine. Non può rimanere privo di regolamentazione tale settore e soprattutto non si può non tenerne conto nei conteggi degli strumenti urbanistici. Diversamente ci troviamo con un numero di vani disponibili rispetto agli abitanti, falsato da alloggi a destinazione turistica e non residenziale.
Occorre che gli Stati investano in edilizia sociale, destinando una quota della edificazione nuova o di recupero, ad alloggi calibrati sulle esigenze delle fasce di popolazione tagliate fuori dall’attuale mercato immobiliare.
Il modello Ina Casa
Certo oggi non è fattibile, un piano simile a quello lungimirante che nel secondo dopoguerra concepì’ Fanfani, noto anche come INA – Casa. Con i soldi dell’Ina Istituto italiano assicurazioni si costruirono tantissimi alloggi di edilizia popolare, rilanciando anche l’occupazione nel settore. L’Ina aveva le disponibilità dagli investimenti dei risparmiatori italiani per le polizze vita, da contributi dello Stato, dei datori di lavoro e dei lavoratori. Era la prima Repubblica e oggi il risparmio privato è per lo più in mano a fondi di investimento che spesso portano i risparmi, che raccolgono anche in Italia, in tutto il mondo. E’ la globalizzazione bellezza o purtroppo, ma questo è un altro lungo discorso.
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