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Bloomsday. Il riflesso di Joyce nel disordine della politica locale

L’autore irlandese racconta ancora il nostro tempo: dalla dissoluzione dell’Io al vuoto amministrativo dell’agro nocerino sarnese e delle aree vesuviane

La modernità disgregata di James Joyce

La scrittura di James Joyce si fa specchio fedele di un tempo come il nostro, attraversato da spaesamento e frattura interiore. Con la sua prosa destrutturata, i suoi flussi di coscienza e l’assenza di punti fermi narrativi, Joyce ci consegna una visione dell’uomo moderno smarrito, assediato da una realtà caotica e indecifrabile. I suoi personaggi, come Leopold Bloom o Stephen Dedalus, si muovono in una Dublino che è insieme città reale e simbolica, teatro di un’esistenza segnata dall’inerzia, dalla paralisi e dall’incomunicabilità. In territori come quelli del l’agro nocerino sarnese e delle aree vesuviane, questa condizione si traduce in un presente dominato dal disincanto: città schiacciate dal traffico, dal cemento, da fiumi inquinati e da una politica che non riesce più a parlare alle persone. Il cittadino campano, oggi, assomiglia molto al cittadino joyciano: disorientato, privo di riferimenti stabili, costretto a cercare senso in un tessuto urbano e istituzionale che si sfalda giorno dopo giorno.

Autonomie locali e svuotamento politico

A partire dagli anni Novanta, con la riforma delle autonomie locali (la famosa legge 142/1990), si è tentato di restituire centralità ai Comuni, trasformandoli in enti decisori di prossimità. Ma nel Mezzogiorno e in particolare nell’agro nocerino sarnese e nelle aree vesuviane, quella che doveva essere una rivoluzione democratica si è rivelata troppo spesso un processo incompiuto, se non fallimentare. Il decentramento non è stato accompagnato da un vero potenziamento amministrativo: si sono moltiplicate le competenze, ma senza risorse e senza adeguata formazione della classe dirigente. Da qui, il dilagare di inefficienze, clientelismi, contenziosi e soluzioni tampone.

Il fiume Sarno, simbolo di una catastrofe ambientale annunciata, è ancora oggi un monumento al fallimento della politica locale. Come nella Dublino joyciana, anche nei nostri comuni si ripete la parabola della paralisi: si parla, si promette, si annuncia, ma nulla cambia realmente. A mancare non sono solo i fondi o gli strumenti, ma una cultura del governo che sappia affrontare la complessità dei problemi con competenza, trasparenza e visione.

Dalla frammentazione alla possibilità del riscatto

Eppure, Joyce non è solo autore del caos e dello smarrimento: nella sua opera c’è anche un costante tentativo di riscatto attraverso il linguaggio. Ogni parola, anche la più confusa, è una ricerca di verità, ogni pagina un atto di resistenza contro l’appiattimento e la banalità. È questo che dovrebbe tornare al centro anche della nostra riflessione politica, soprattutto in territori dove la frattura tra istituzioni e cittadini ha prodotto sfiducia, disillusione e isolamento. Se il locale è lo spazio dove la democrazia si costruisce ogni giorno, allora è da qui che bisogna ripartire. Dalle scuole, dai municipi, dalle piazze dimenticate. Joyce ci ha indicato che nel frammento può ancora celarsi un senso, che dietro l’apparente caos si nasconde la possibilità di una nuova narrazione collettiva. Per l’Agro e il Vesuviano, oggi più che mai, si tratta di scegliere: continuare a galleggiare nel disincanto o costruire una nuova coscienza politica capace di dare forma e futuro alla rete dei territori.

Il potere evocativo dei luoghi dell’infanzia ad Angri

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Luciano Verdoliva
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