Grazie, don Enrico
Angri. Una figura eccezionale, un uomo che ha vissuto la santità nel quotidiano, senza mai chiederne riconoscimento. Tra le stese cantonali, tra i mattoni impolverati di una città ancora ferita dalla guerra, 76 anni fa, don Enrico Smaldone posava una pietra. Sembrava un gesto semplice, quasi ordinario, ma in realtà segnava l’inizio di un sogno grande: la Città dei Ragazzi. La sua edificazione.
Un sogno fatto di giustizia e futuro
In quella pietra non c’era solo cemento. C’era visione, c’era speranza, c’era l’idea di un mondo che fosse più limpido ed equo, in cui ogni giovane potesse costruire la propria felicità, senza essere lasciato ai margini. Un mondo in cui il futuro non fosse un privilegio, ma un diritto.
Una santità vissuta nel quotidiano
Quella pietra divenne casa e scuola. Divenne una comunità. In essa, generazioni di giovani hanno trovato accoglienza, formazione, fiducia. Hanno imparato a credere in sé stessi. Don Enrico non fu solo il fondatore di un’opera educativa: fu padre spirituale, guida discreta, costruttore di anime. Animato da una fede concreta, mai ostentata, trasformò la carità in azione e l’amore in giustizia.
Un’eredità che continua a fiorire
La sua beatificazione sarebbe un atto naturale, forse tardivo, ma dovuto. Perché i santi autentici camminano tra noi in silenzio e lasciano tracce indelebili. Continuiamo a camminare sulle sue orme, certi che il bene da lui seminato continua, ogni giorno, a fiorire. Nel volto dei giovani, nei sorrisi ritrovati, nella dignità restituita. Don Enrico vive.
Lo Stretto di Messina attraversato da un uomo chiamato Paolo (video)